Briciole – The Bad Guy
Sul ponte (sullo stretto) sventola bandiera bianca
Se, filmicamente parlando, vivessi nel paese che sogno, questa serie 100% italiana sarebbe stata prodotta e mandata in onda dalla RAI, con opportuna campagna pubblicitaria, presentazioni, anteprime e servizi al TG1.
Invece, ahimè, siamo in Italia e dobbiamo ringraziare Amazon per avercela fatta conoscere, consolandoci comunque con il pensiero che, nonostante tutti i luoghi comuni, le piattaforme presentano anche belle cose e la cinematografia italiana sa ancora farsi valere.
Avete presente alcuni di quegli argomenti su cui la tipica serie tv non può scherzare e deve anzi trattare come un santino imbalsamato? Argomenti come mafia, carabinieri, magistratura, magistrati uccisi, eccetera eccetera?
Ecco, The Bad Guy prende tutto questo e lo incrocia con black humor, satira, intelligenza, citazionismo, Il fu Mattia Pascal, Il conte di Montecristo, Spirit, Breaking Bad, montaggio tarantinesco, grottesco e altro.
Crea così un prodotto fresco, accattivante, che attira e cattura, lascia in sospeso, fa ridere, fa pensare con leggerezza e prende per i fondelli tutto un filone di produzione cinetelevisiva e retorica.
Ormai è stato detto e ridetto, viviamo in un’epoca “post” in cui tutto è già stato scritto, analizzato, raccontato; il segreto dunque è ormai nello stile di narrazione che viene adottato di volta in volta.
E qui di stile, per una vicenda classica (il buono che viene accusato e, creduto morto, torna dai morti sotto mentite spoglie per vivere ancora, vendicarsi, continuare la sua battaglia con altri mezzi, riappropriarsi di una parte, quella oscura magari, della sua vita) ce n’è tanto.
Scoppiettante, pop, con trovate geniali come il ponte sullo stretto o gli esplosivi per le talpe che, insieme all’immagine irriverente e shaggy del protagonista all’inizio, promettono e mantengono.
Gli attori sono tutti bravi, anche quelli che potrebbero debordare nella macchietta restano nel seminato, l’azione coinvolge, lascia in sospeso, si fa seguire.
Quando finisce l’ultima scena dell’ultimo episodio con un colpo di scena nuovo e uno confermato dall’inizio, la reazione non può che essere: “ekkekkazzo quando arriva la seconda serie?”
Alcune sbavature qua e là come lungaggini, sequenze che nulla aggiungono al valore della storia, esagerazioni “esagerate”, personaggi che cambiano repentinamente e facilmente personalità, non inficiano molto la tenuta del racconto.
E, ancora una volta in una settimana, mi trovo a elogiare l’uso di una lingua del sud in una serie: non folklore o macchietta, ma parte viva e personaggio praticamente principale.
Da notare anche, accanto al côté divertente del racconto, gli spunti tragici che affiorano, come ad esempio i pensieri del protagonista quando si trova di fronte al dilemma se, per seguire la sua sete di vendetta, sia giusto che provochi una strage di servitori dello Stato.
Insomma un prodotto ottimo, godibile, intelligente, divertente e non sciocco che sarebbe bello ricevesse attenzione e maggior riscontro di pubblico e che ancora una volta valorizza e mette in mostra, fuori dagli stereotipi turistici o cattivi, il nostro meraviglioso Sud.
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